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Terrorismo – Perché la Francia?

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aouissaoui brahimDopo aver vissuto in Francia per qualche anno e a seguito dell’esperienza di infiltrato nei gruppi segreti dello Stato Islamico, mi è capitato, poche volte in verità, di sentirmi chiedere perché in Italia non avessimo subito lo stesso numero di attentati portati a termine in altre nazioni. In Francia in particolare.

Una domanda retorica rispetto la quale di volta in volta il mio interlocutore aveva pronta una risposta: “L’Italia non viene toccata perché altrimenti non potrebbero usarla come corridoio di passaggio per l’Europa…” ecc ecc.

L’attacco al coltello nella basilica di Notre-Dame a Nizza, a opera di Brahim Aoussaoui, suscita le reazioni di sempre. Slogan, scontri politici, improbabili soluzioni che nascono da interessi elettorali e che trovano nell’opinione pubblica facili consensi.

La recente crisi migratoria ha finito con l’alimentare sentimenti nazionalisti che trovano ampi spazi nei dibattiti politici, con proposte di controllo delle frontiere, restrizioni sui permessi di soggiorno e sul riconoscimento delle cittadinanze.

Purtroppo sotto il profilo della prevenzione non si riscontra lo stesso impegno che i politici mettono per ottenere consensi proclamando misure restrittive generalizzate che a ben poco servono sotto il profilo del contrasto al terrorismo.

bambino nizzaTra le domande che mi sarei aspettato c’era quella sul perché la Francia sembra essere uno degli obiettivi primari del terrorismo islamico.

Premesso che in Italia non abbiamo lo stesso numero di migranti di seconda e terza generazione, la situazione francese va vista anche sotto il profilo dell’emarginazione, della colpevolizzazione della religione, degli stereotipi negativi riservati ai migranti, ma anche ai cittadini francesi di origine magrebina.

In Francia, infatti, gli immigrati di seconda generazione – anche coloro i quali sono ben integrati nella società – nonostante siano legalmente cittadini francesi, vengono trattati come corpi estranei di un organismo, ai quali viene negata la cittadinanza culturale a causa delle loro origini. Se a questo si aggiunge il credo religioso, il collegamento alla radicalizzazione e al terrorismo diventa quasi automatico.

Una discriminazione che ben conoscono i nostri emigranti che nel dopoguerra si recarono negli Stati Uniti e che pur avendo ottenuto la cittadinanza, si vedevano negati la piena inclusione sociale perché latini.

Se a questo aggiungiamo che la Francia non ha affrontato i problemi del suo passato (e nonostante il motto nazionale “Libertà, uguaglianza , fraternità”, pilastri del repubblicanesimo francese che non fa distinzioni di razza tra i suoi concittadini) e ha finito con l’imporre confini razziali nella costruzione della sua identità nazionale, non è difficile comprendere come sia diventata un obiettivo simbolo da colpire.

Parigi - Strage del 13 novembre 2015

Parigi – Strage del 13 novembre 2015

Tutto questo infatti ha dato luogo a fenomeni di emarginazione e razzismo anche nei confronti dei suoi stessi cittadini  provenienti fin dal primo novecento dalle colonie francesi (Algeria, Marocco e Tunisia) non si fa fatica a comprendere i sentimenti che animano in particolare i tanti francesi non francesi, spesso relegati nelle banlieues, dove predicatori e reclutatori trovano l’humus ideale per piantumare i semi di un odio viscerale che talvolta si tramuta nelle azioni violente delle quali la Francia è stata teatro.

Non basta essere legalmente francesi e neppure essere riusciti, con molti più sacrifici di altri, a raggiungere il successo professionale ed economico. Le loro origini etniche non permetteranno comunque di varcare quei confini simbolico-culturali che la società francese si è imposta quale identità nazionale. Sarà sufficiente il nome Mohamed o Aisha, invece di Jean Paul o Annette, a razzializzare l’individuo in un contesto in cui l’unica identità significativa è quella francese. La loro “cittadinanza sospetta” sarà un handicap che si porteranno dietro dalla più giovane età e che influirà nella loro istruzione, nella ricerca del posto di lavoro, nella sfera pubblica e privata.

Gli approcci transnazionali basati sulla sicurezza, le misure restrittive nel rilascio di permessi e nel riconoscimento della cittadinanza, non sono sufficienti per combattere l’attività terroristica. Gli slogan e la propaganda, quando non sono dannosi perché alimentano un clima di odio all’interno del quale non è difficile fare nuovi adepti, sono assolutamente inutili per contrastare l’appello e l’adozione dell’estremismo violento, finendo con il creare sentimenti di emarginazione anche in coloro che sono ben integrati nella società, contribuendo così alla possibilità di radicalizzazione, in particolare dei più giovani che finiscono con il percepire l’ambiente intorno a loro sempre più ostile e divisivo.

La radicalizzazione è un fenomeno multi-causale, che richiede un approccio a più livelli per dare una risposta significativa in materia di prevenzione del terrorismo.

immigratiSe avessimo tratto insegnamento dal “dìvide et ìmpera” di romana memoria, avremmo imparato a riconoscere l’individuo in quanto tale e non per appartenenza, disinnescando la minaccia che emarginazione e odio alimentano facendo sì che proprio per appartenenza (religiosa o di qualsiasi altra natura) si aggreghino e compattino quanti si vedono negata la piena inclusione sociale, finendo con l’aderire alla logica che il nemico del mio nemico è mio amico.

È un caso che Brahim Aoussaoui, arrivato sull’isola di Lampedusa a settembre, sbarcato a Bari  dopo un periodo di quarantena, abbia attraversato l’Italia per colpire in Francia?

Aoussaoui non aveva bisogno di un appoggio logistico per un attentato al coltello. Non ha progettato una strage come quella del Bataclan. Perché dunque è andato dritto in direzione di un obiettivo tanto distante?

Forse, soffermandoci per capire le dinamiche che portano alla radicalizzazione e al terrorismo, facendo tesoro dell’esperienza di altri paesi dove è prevalsa la logica di un’unica identità significativa, applicando ogni forma di prevenzione e controllo, riusciremo ad evitare che anche l’Italia diventi teatro di nuove tragedie.

Gian J. Morici

 

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